La punta nord-orientale della Sicilia è un qualcosa entrato nell'immaginario collettivo almeno sin da quando da bambini, spinti dalla curiosità, guardiamo le cartine geografiche. Quest'incantevole spazio del globo terrestre è reso tale da due splendide località: Ganzirri e Torre Faro. Si tratta di due borghi marinari col tempo sempre più inglobati nel comune di Messina tanto da essere diventati a tutti gli effetti due quartieri della città peloritana.
Ganzirri si trova a circa 10 km da centro cittadino messinese. Nel suo comprensorio si trovano due laghi di cui uno porta il nome del luogo (chiamato anche Pantano Grande) e l'altro porta invece il nome del borgo contiguo, Faro (chiamato anche Pantano Piccolo). Essi sono collegati tra loro tramite un piccolo torrente detto Canale Margi. La zona, rinomata sia per la tradizionale attività di molluschicoltura che per essere luogo di villeggiatura, da qualche anno è stata inserita, esattamente il 21 giugno 2001, nell'area de La Riserva Naturale Orientata della Laguna di Capo Peloro, la quale copre una superficie di 68,12 ettari a terra. L'aspetto di borgo marinaro è conferito dai caratteristici vicoli stretti e dalle case basse ed insieme a Torre Faro, oltre a formare la punta nord-orientale della Sicilia, rappresenta il punto in cui la distanza tra l'isola e la Calabria raggiunge il suo minimo con solo 3,1 km.
A partire dall'inizio del borgo marinaro l'aspetto urbanistico della città, che fino a quel punto segue un percorso a tutti gli effetti litoraneo, cambia notevolmente e, fino alla punta estrema di Torre Faro, la zona a ridosso del mare è priva di strada litoranea con le costruzioni direttamente affacciate sul mare.
Il toponimo deriva dal vocabolo arabo
Khanzir indicante in generale i suini, quindi sia il maiale che il cinghiale, e quindi una località ove abbondano entrambe le specie allo stato brado. Insieme al vocabolo anch'esso arabo
Ghadir, significante
stagno, gli arabi avrebbero chiamato il territorio
Ghadir-Al-Khanzir ovvero
Pantano dei cinghiali, in quanto l'animale era molto prolifico nel circondario peloritano e l'acqua piovana si raccolse fino a formare dei laghi acquitrinosi poco profondi. Dal vocabolo arabo deriva l'attuale forma dialettale messinese
Canzirri, mentre il termine italiano ha risentito della fusione dei due vocaboli
Ghadir e
Khanzir generando per agglutinazione la variante
ghanziri.
La Torre dei Saraceni è un tipico esempio di arte medievale e fu costruita nel XV sec. con lo scopo di sorvegliare la zona marina antistante e segnalare la presenza di navi. In cima ad essa si trovano diversi merli che fanno di essa, anche dall'aspetto quindi, una vera e propria roccaforte.
Il santo patrono del quartiere è S.Nicola di Bari a cui è intitolata la chiesa. La sua celebrazione ricorre ogni anno nella seconda domenica del mese di Agosto. La processione dei fedeli accompagna la statua del Santo per le principali vie del borgo alternandosi a brevi soste di preghiera. L'ultimo tratto della processione, il più caratteristico, si svolge sul lago. Qui il Santo è portato su una barca, in passato utilizzata per la tradizionale pesca del pesce spada, che attraversando per un breve tragitto il lago è seguita da numerose barche di fedeli. Questo attraversamento finale sulle acque del lago sottolinea il legame tra Ganzirri, il lago, i suoi abitanti e il mare.
Il lago di Ganzirri appartiene, insieme al lago di Faro, alla duna costiera di Capo Peloro, si estende per una superficie di 338.000 metri quadri, ha una lunghezza di 1,7 km, una larghezza di 250 metri e la sua massima profondità di 7 metri. La sua temperatura va dagli 11 gradi di Gennaio ai 31 di Agosto, viene alimentato da falde freatiche e da alcuni torrenti i quali, sfociandovi, fanno variare il livello di salinità tra estate ed inverno. Gli inglesi costruirono nel 1830 due canali, il canale Carmine a nord ed il canale Catuso a sud permettendovi così l'ingresso dell'acqua dal mare. Il canale Margi è un canale che, oltre a collegare i due laghi, rappresenta il punto in cui un tempo sorgevano altri due laghetti poi fusi nell'attuale lago, di cui uno portava il nome del canale e l'altro, più a nord-est, denominato Madonna di Trapani ed inoltre in questo punto di fusione il fondale è molto basso. All'interno del canale sorgeva, secondo la leggenda, un tempio di Nettuno e le acque che lo lambivano erano sacre al Dio, al punto che
non se né poteva scandagliare il fondo senza incorrere nel pericolo di avere paralizzati gli atri che venivano a contatto con le venerate acque. I reperti attribuiti ad esso, che rinvennero nel 1810, furono delle colonne le quali, qualcuno sostiene che furono adoperate per la costruzione della cattedrale di Messina. Negli ultimi anni sono avvenuti fenomeni notevoli di morie di pesci a causa del propagarsi dell'anidride solforosa emessa dal batterio
Desulfovibrio desulfuricans, il quale emerge nel momento in cui vengono smosse le acque aprendo e chiudendo i canali.
Per queste sue peculiarità quindi l'area compresa tra Ganzirri e Torre Faro è stata dichiarata bene d'interesse etno-antropologico. Caio Domenico Gallo nei suoi
Annali riferisce che già nel 1500 esisteva qualche costruzione ma, a causa dell'ambiente paludoso e malsano e delle difficoltà a difendere le coste dalle incursioni dei corsari barbareschi, per attendere un vero e proprio sviluppo urbano della zona si dovette attendere il XVIII sec. Per questo motivo le costruzioni già esistenti nel succitato periodo erano solamente case di pescatori e coltivatori di molluschi e qualche magazzino. Da aggiungere anche che dopo il terremoto del 1783 le rive del lago erano quasi disabitate. La zona attualmente occupata dal canale Margi venne bonificata nell'800 dai Borboni. Attualmente il lago di Faro è tra i due quello più utilizzato per quanto riguarda la molluschicoltura mentre il lago di Ganzirri ha un interesse più turistico in quanto sono presenti, specialmente nella parte più vicina al mare, in cui sorge il nucleo principale del borgo marinaro, ristoranti in cui è sempre possibile gustare le specialità culinarie del luogo. La leggenda narra che, nello spazio antistante il lago di Faro, sorgeva l'antica città di Risa che sprofondò sotto il lago conseguentemente ad un cataclisma e di essa tra gli anziani del luogo c'è chi giura di averne scorto le strade e gli avanzi delle abitazioni disseminate di colonne. Delle peculiarità che caratterizzano il Lago di Faro sono la presenza di solfobatteri colorati fototrofi capaci di svolgere attività di fotosintesi anche in mancanza di ossigeno, la presenza di specie di vegetazione psammofila e di ambiente alofilo ed il fatto di essere, come del resto anche il lago di Ganzirri ed il lago Gurrida (del quale abbiamo trattato tre giorni fa), stazione di sosta per gli uccelli migratori.
Torre Faro sorge esattamente a nord di Ganzirri e rappresenta in tutto e per tutto la punta nord-orientale della Sicilia. Situato in corrispondenza del promontorio collinare di Capo Peloro a 1,5 km dal mare i rilievi lasciano il posto ad un lido sabbioso. L'origine del toponimo è più discussa rispetto a quella di Ganzirri in quanto ci sono due ipotesi. La prima lo fa derivare dalla presenza di un faro attestato come edificio già in età preromana e ancora oggi esistente, che avrebbe così trasferito il nome al luogo e a quello di Casale del Faro (oggi Faro Superiore). La seconda ipotesi invece lo fa derivare dal nome Pharii, popolazione greca proveniente esattamente dalla città di Pharis che si sarebbero stanziate nella zona di Capo Peloro. Nella zona sono presenti i refoli, vortici generati dalla corrente dello Stretto, i quali, nei secoli passati, animarono la leggenda di Cariddi, una ninfa che rubò dei buoi al figlio Eracle e che fu trasformata da Zeus in un mostro che per tre volte al giorno ingoiava e rigurgitava le acque dello Stretto.
Il Pilone è la costruzione che identifica maggiormente la zona. Esso è un traliccio in acciaio oggi in disuso della linea elettrica ad alta tensione 220 KV che attraversava lo Stretto, altro 232 metri, progettato e costruito tra 1948 e 1955 dalla Società Generale Elettrica della Sicilia e posto dirimpetto al suo omologo calabrese della collina di Santa Trada (alto 224 metri). Non è più in funzione dal 1994 in quanto i cavi si rivelarono insufficienti per soddisfare la richiesta energetica e furono installati dei cavi sottomarini. Adesso è una fonte d'attrazione turistica e in particolare la notte quando la struttura riflette le luci poste alla base e si staglia come un cono luminoso emergente dalla acque scuse dello Stretto.
La parrocchia del paese è dedicata alla Madonna della Lettera in quanto a Capo Peloro sbarcò la delegazione di messinesi di ritorno dalla Terra Santa nella quale si erano recati, spinti dalla predicazione di S.Paolo, in visita alla Vergine che per ringraziare consegnò loro una lettera sigillandola con un suo capello. In essa erano riportate le seguenti parole
Vos et ipsam civitatem benedicimus (Benediciamo voi e i vostri concittadini) riportata anche sotto la statua presente sul molo del porto di Messina. Nel '600 parte della ciocca di capelli venne portata in processione imbarcandosi da Torre Faro fino a Palmi dov'era in corso una pestilenza gravissima. Questa finì nel momento in cui la processione arrivò li e adesso ogni anno, precisamente nel mese di Agosto, essa viene replicata sempre a Palmi e denominata
Varìa. La tradizione religiosa vuole che la Madonna vegli sulla sulla città da quando nel '600, in occasione di una carestia, fece apparire miracolosamente nelle acque dello Stretto una nave carica di grano. Torre Faro è nato come insediamento con vocazione alla pesca , all'attraversamento di merci e persone e alla custodia dei punti di luce che dovevano salvaguardare chiunque attraversasse quella pericolosa strettoia al centro del Mediterraneo e di tutti i traffici navali del Vecchio Mondo. Nacque così un'aggregazione spontanea e lineare di case di pescatori che dal punto di vista architettonico ha tuttavia subito delle modifiche nel tempo, anche a causa dei terremoti del 1783 e del 1908. La marina inglese, nel corso del XIX sec., presidiò lo Stretto costruendo molte batterie sulla spiaggia, rendendo percorribile con le carrozze la via Consolare Pompea fino alla Torre del Faro e collegando i due laghi col mar Tirreno e con lo Stretto tramite la bonifica del sistema lacustre della duna, utilizzando quest'ultimo sia per ricovero delle imbarcazione che per l'attraversamento dello Stretto tramite i canali. Queste opere di bonifica portarono alla luce, oltre alle colonne utilizzate per costruzione della cattedrale, anche un basamento in mattoni e cocciopesto a tre gradini e alcune cisterne di età romana. Questi ultimi sono i resti del basamento del faro raffigurato in un'emissione argentea di Sesto Pompeo, datata in epoca precedente alla sconfitta di Sesto Pompeo e contemporanea al suo dominio in Sicilia. La moneta rappresenta sul dritto il faro di Capo Peloro sormontato da una statua di Nettuno dotato di elmo, tridente e timone e col piede su una prua. Innanzi al faro è presente una galera con a prua l'aquila legionaria e a poppa un tridente, una bandiera e un uncino d'ancoraggio. Nel rovescio si riconosce Scilla, il mostro della rupe calabra con due code di pesce e tre teste canine. Nei diversi conii di questa moneta il faro presenta elementi differenti. La torre è cilindrica con il basamento gradinato, a pianta circolare, due finestre, un marcapiano, una porta e una balconata. Strabone cita la Torre di Peloro assieme ad una torre analoga presso il Poseidonio di Reggio Calabria (esattamente in località Cannitello) nella sua
Geografia (III, 5, 5). La moneta raffigurante il Faro ed il Faro stesso sono precedenti alla vittoria di Ottaviano su Pompeo nel 36 a. C.
Il personaggio di Colapesce, esperto nuotatore e e pescatore, era di Torre Faro. La leggenda narra che durante un'immersione vide l'ingresso di una grotta nella quale il soffitto era sorretto da una colonna. Nelle immersione successive entrò in grotta e vide un immenso tesoro. Quando provò a portare in superficie parte del tesoro venne un fortissimo terremoto e la colonna si ruppe; così il Colapesce si sostituì alla colonna con la speranza che qualche amico pescatore che lo aspettava a riva scendesse giù ad aiutarlo. La leggenda vuole che egli sia ancora li a sorreggere un angolo della Sicilia.
La molluschicoltura, come già detto, è la principale attività lavorativa e produttiva della zona. In entrambi i laghi sono presenti pesci e frutti di mare come le cocciole (
topes cardium) i cozzi (
mythilius) e le ostriche. Plinio affermò che questi laghi nacquero dopo il terremoto che separò la Sicilia dal resto del continente. L'attività della mitilicoltura si divide in due parti: la coltivazione di quella che comunemente è chiamata cozza (
Gallo provincialis) e la tellinicoltura , ovvero la coltivazione delle telline e delle vongole. Di queste ultime esistono quattro specie: la
Tapes decussatus (vongola verace), la
Cardium edule (cocciola rizza), la
Tapes laetus (cocciola fimminedda) e la
Lucina lactea (cocciola padella). La coltivazione delle ostriche (
Ostrea edulis), a differenza del XIXsec., adesso è quasi scomparsa. Molte generazione hanno costruito intorno a tale attività usi e costumi, consuetudini e rituali ma soprattutto abilità manuali che né hanno fatto una vera e propria cultura. La prima attività in ordine cronologico è stata quella dove l'intervento della mano umana era minore, quella dei cocciolari. La coltivazione delle cozze è nata successivamente, quando vennero conficcati i pali di castagno sui fondali del Pantano Grande per delimitare, entro la loro superficie, le zone di pesca e i singoli appezzamenti. Una volta appreso il ciclo di crescita dei frutti di mare vennero installati i collettori artificiali. Questo processo è molto lungo e viene tuttora gestito sfruttando entrambi i laghi in base al processo di crescita dei mitili. Negli ultimi anni questa enorme attività ha subito una crisi. Mentre tra gli anni 60 e 70 l'attività dava da vivere a parecchie famiglie con produzione annua di circa 100 kg di vongole per montagnola e 80 cantari di cozze per quadrato o appezzamento, l'impoverimento del plancton ha allungato il periodo di allevamento da uno a due anni. L'impoverimento del plancton si spiega a sua volta col fatto che i due laghi negli ultimi anni sono stati utilizzati come bacini di incontrollato deposito di mitili importati da altre zone per soddisfare le richieste del mercato.