Giuliano Spina nato a Catania il 18/03/1989 laureato in Lettere moderne

venerdì 22 luglio 2016

La città di Risa sprofondata nel Lago di Faro






Sotto le acque del Lago di Faro, in dialetto messinese chiddu nicu, giacciono, secondo una leggenda probabilmente di derivazione celtica come quelle della Fata Morgana e di Artù sull'Etna, i resti di un'antica città di nome Risa. Il nome deriva da quello della principessa che la governava. Secondo la leggenda la città era circondata da mura bianche in pietra ed il centro era molto fertile e crocevia di scambi commerciali e culturali tra le popolazioni indigene della Sicilia preellenica. Un forte sisma la distrusse e la fece sprofondare creando una depressione e quest'ultima venne poi riempita dalle acque piovane formando l'attuale Pantano piccolo. I resti della città, secondo alcuni studiosi, si trovano a circa 30 metri di profondità e in particolari condizioni metereologiche, con acque limpide e stagnanti, sono perfettamente visibili. Molti di essi sono anfore bizantine e resti di un'antica imbarcazione.

Ancora oggi gli abitanti del luogo sostengono che si sentano i rintocchi della campana della chiesa della città in particolar modo nelle ore notturne per avvertire i pescatori dell'arrivo di una forte burrasca. Di questo né è testimonianza il detto in dialetto Si sona a campana i Rrisa e megghiu non pigghiari ppi fora. C'è anche chi sostiene che la campana venga suonata dalla principessa Risa la quale, bella e inquieta, non trova pace.



La città sommersa, sempre secondo la leggenda è abitata da un personaggio mitologico molto legato alla città, la Fata Morgana. Essa era un'incantatrice nelle notti di luna piena ed oggi risorgerebbe dalle acque del lago per cercare una storia d'amore e di dolore da raccontare alle sue seguaci che dimorerebbero con lei a Risa. La città di Risa compare ne La Canzone d'Aspromonte opera appartenente al ciclo carolingio. In essa, composta nella prima metà del XII secolo, si narrano la giovinezza di Orlando tra Calabria e Sicilia, le peripezie dei paladini di Re Carlo e la caduta della città di Risa. Quest'ultima sarebbe stata patria del prode Ruggero e avrebbe custodito il suggestivo tesoro di Annibale. Malgrado alcuni studiosi sostengano che Risa sia il nome medievale di Reggio Calabria, gli episodi dell'opera si verificano sulla riva peloritana dello Stretto e confermano così la versione messinese dei fatti.

Qualcuno sostiene anche che il lago sia un cratere appartenente ad un vulcano spento e, come già accennato in uno dei precedenti pezzi, sede di un tempio eretto da Poseidone che i Romani chiamarono Nettuno. Ciò che è certo è in età classica esso sia stato molto frequentato sia dai Fenici che dagli Arabi per farne un riparo per l'ormeggio delle imbarcazioni, ma un elemento che balza agli occhi soprattutto guardando il lago dall'alto è un muro lungo circa 60 metri e sito a circa 6 metri di profondità. Esso è costituito da materiale prevalentemente roccioso ma non si sa se è di origine naturale o artificiale. Gli studiosi hanno accertato che nella civiltà e nell'antichità greche era molto frequente la presenza di un'area sacrale, di un luogo di culto sotto l'acqua e che esso è il resto di un'antica struttura urbana, il che conferma la veridicità del mito di Risa. Da sottolineare infine l'importanza della presenza degli inglesi che con i loro lavori di canalizzazione dell'area tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 hanno seppur momentaneamente ripristinato antiche situazioni del passato, come quelle del periodo dei Fenici e degli Arabi.











lunedì 18 luglio 2016

Le alte pendici dell'Etna: Milo e Fornazzo





Le alte pendici dell'Etna sono popolate da due splendidi borghi unici sia per il loro essere pittoreschi che per la loro storia: Milo e Fornazzo. Milo è il comune meno popoloso della provincia di Catania in quanto conta poco più di mille abitanti. Esso divenne comune autonomo nel 1955 quando fu separato da Sant'Alfio insieme a Fornazzo, quest'ultima a tutt'oggi frazione appartenente al comune di Milo. L'origine del toponimo è tuttora discussa e si basa su tre ipotesi. La prima si rifà allo storico cinquecentesco Filoteo degli Omodei di Castiglione che nella sua Aetnae Tipografia afferma che il termine in lingua greca significa nero,scuro e si riferisce al colore dell'acqua di una sorgente vicino Milo dopo aver attraversato la pietra lavica del medesimo colore. La seconda ipotesi fa derivare il toponimo sempre dal greco melos che significa melo e la terza ipotesi lo fa derivare da mulino.
La storia di questo meraviglioso borgo di montagna è intrecciata ad una delle dinastie che per anni hanno governato la Sicilia, gli Aragona. Proprio a Giovanni d'Aragona duca e re di Sicilia si deve la fondazione di Milo, in quanto nel 1340 fece costruire una chiesa in pietra lavica (l'attuale Chiesa Madre di Sant'Andrea) assegnandole un feudo a patto che venisse fatta priorato della Chiesa di Catania. Per il re il luogo divenne così una sorta di residenza estiva e quindi centro politico della Sicilia. Otto anni dopo, nel 1348, egli tornò a Milo per curarsi della peste che colpì  Catania ma ciò fu inutile perché morì il 7 aprile dello stesso anno. Malgrado la perdita d'importanza causata dalla sua morte il piccolo borgo continuò il suo sviluppo. Nel 1391 fu sotto il controllo di Simone di Randazzo ed il priorato della Chiesa di Catania durò fino al XV secolo. Esso fece parte della Contea di Mascali fino al 1815, anno in cui Giarre ottenne l'autonomia da essa e così le frazioni di Milo, Sant'Alfio, Fornazzo e Rinazzo vennero annesse al nuovo comune. Otto anni dopo, nel 1823, Sant'Alfio ottenne l'autonomia da Giarre portando con se le frazioni di Milo, Fornazzo e Rinazzo e già da allora gli abitanti di Sant'Alfio appoggiarono Milo per la conquista dell'autonomia. Nel frattempo il territorio di Milo iniziava il suo sviluppo turistico in virtù della visita del fotografo tedesco Wilhelm Von Gloeden. Tra 1950 e l'aprile del 1952 a poco meno di duemila metri di distanza da Milo si aprirono due bocche eruttive e gli abitanti si rifugiarono nei comuni circostanti, ma questo avvenimento fece da traino alla conquista dell'autonomia da parte del comune, in quanto fu ritrovato l'antico documento nel quale veniva essa veniva inneggiata. Si andò così al voto in Sala D'Ercole della legge numero 8 del 29 gennaio 1955 che decretava di fatto l'autonomia delle frazioni di Milo e Fornazzo. Lo stemma di Milo è formato dai colori dello stemma di Giovanni D'Aragona, l'arancione e il giallo, dalla croce di S.Andrea (patrono di Milo) e dall'antico abbeveratoio.
La piazza antistante la chiesa, piazza Belvedere, si affaccia sula costa jonica e la villa comunale è sita sotto di essa. Il luogo nei mesi estivi è meta ambita dai catanesi per il clima fresco ed il profumo emanato dai boschi circostanti. L'economia verte principalmente sulla produzione del vino, sul commercio del legname, sull'allevamento e sul turismo.


La manifestazione che più di tutte dimostra l'importanza enologica del paese è la Vinimilo che si tiene ogni anno nel periodo tra la fine di agosto e l'inizio di settembre con degustazione e passaggio in rassegna dei migliori vini del comprensorio etneo. Tra questi spiccano il Nerello mascalese, il Nerello cappuccio e il Carricante, appartenenti al consorzio di tutela  Etna doc, poi il Vivera, il Passopisciaro, l'Etna Bianco Quantico, l'Etna Millemtri '12, l'Etna Rovittello e il Rampante.





A nord del comune sorge il Parco Scarbaglio molto frequentato, oltre che nei mesi estivi, nelle feste primaverili. All'interno di esso sono presenti diverse attrazioni come ponti tibetani, reti per arrampicarsi, percorsi acrobatici e giochi da albero ad albero, oltre a tavoli in legno per picnic e braci per la cottura della carne. Milo ha raggiunto un certa notorietà nazionale da quando è diventato meta di villeggiatura e addirittura residenziale di cantanti e intellettuali come Lucio Dalla, che qui produceva anche un vino, Franco Battiato, insieme all'amico filosofo Manlio Sgalambro, e Ron.



Fornazzo è una frazione appartenente al comune di Milo e si trova nella parte nord esattamente a 800 metri di altitudine. Il toponimo deriva dalla parola forno, in riferimento alla tradizione secondo la quale l'uomo fece costruire la propria dimora accanto ad una grotta lavica. Tutto questo assumeva la forma di un forno. Nacque nel 1689 sulle lave come insediamento di boscaioli, ma fu nel XIX secolo e nei primi due decenni del XX secolo che ebbe il suo periodo di fioritura grazie al commercio della neve che veniva trasportata in paese dai boschi della Cerrita tramite una teleferica la quale, costruita nel 1922 da Giuseppe Leotta detto Don Puddu da nivi, venne distrutta da un'eruzione nel 1928. La neve, una volta arrivata, veniva raccolta nelle nivere, veniva pestata e protetta con un alto strato di foglie secche e di terra, segata in lastroni e caricata sui muli. Così i mulattieri scendevano dalla montagna per rifornire di neve le botteghe e le famiglie ed infine essa veniva portata dentro i boccoli del vino o veniva grattugiata e condita con il limone e lo zucchero per la gioia dei bambini. La figura del mastru da nivi è ancora ricordata dagli anziani del luogo. Egli ammassava la neve in inverno in buche larghe e profonde  ricoperte di pietra lavica in modo da conservare la neve compattata fino all'estate. La testimonianza di ciò le due Tacche ancora in ottima condizione la Tacca u favu e la Tacca  di munti Cirasa. Un altro grande mestiere che fece la fortuna del borgo era il carbonaio, il quale trasportava sempre tramite la teleferica i tronchi di quercia che venivano sollevati sopra u fussuni dove ardeva il fuoco. Grande importanza ha anche la pirrera, una cava di pietra dove con martello e piccone si estraeva la pietra lavica per costruire le case.







Le due chiese del luogo sono la Chiesa Sacro Cuore di Gesù e la Chiesa S.Maria della Misericordia mentre grande importanza riveste il piccolo altare dedicato sempre al Sacro Cuore di Gesù, patrono del borgo, circondato dalle lapidi della via Crucis e mantenutosi intatto malgrado sia stato raggiunto dalle eruzioni del 1951 e del 1979. In questo altare termina la processione con la quale, nella seconda domenica di luglio, si festeggia il Sacro Cuore di Gesù.




Nel periodo di fine estate viene organizzata la Sagra del fungo porcino, un altro prodotto caratteristico del luogo specialmente nei già citati boschi della Cerrita, zona molto umida a 10 km dall'abitato di Fornazzo. L'atmosfera di tranquillità ed il paesaggio ricco di abeti, larici, pini, faggi e castagni sono state le caratteristiche che hanno portato Fornazzo a fregiarsi nel 1992 del titolo di Villaggio ideale d'Italia organizzato dalla rivista scientifica Airone.














lunedì 11 luglio 2016

Il Biviere di Lentini





Il Biviere di Lentini è un lago sito in provincia di Siracusa al confine con la provincia di Catania e che ha la sua estensione nel comune di Lentini. Il suo bacino occupa una superficie costituita da una depressione naturale e dalle ultime propaggini settentrionali dei Monti Iblei e della Piana di Catania. L'origine del lago è tuttora discussa. Una prima ipotesi  sostiene che fu realizzato dai Templari tra XII e XIII sec., con uno sbarramento del vicino fiume Trigona-Galici, a 100 metri di distanza dalla confluenza nel fiume San Leonardo al fine di creare una riserva di caccia e pesca. Una seconda ipotesi attribuisce le sue origini ad Ercole. Quest'ultimo secondo la leggenda, dopo aver ucciso il Leone di Numea, aver usato la sua pelle come manto e la sua testa come elmo e averne deposto il mantello sull'ara della dea Cerere, fondò la città, chiamata appunto Leontini dal nome del Leone, ed il lacus erculis. Infine una terza ipotesi si rifà ad un punto di vista geologico e riguarda il movimento di faglie tettoniche  durante il Pleistocene legate al sistema divergente Graben di Scordia-Lentini, che avrebbero dato origine alla depressione dalla quale è nato il lago. Il termine Biviere deriva dal francese vivier, a sua volta corruzione del latino vivarium, indicante uno spazio acquatico riservato all'allevamento ittico.
Molti viaggiatori stranieri apprezzarono e descrissero il lago durante il XIX sec. anche se è diffusa la notizia erronea che lo scrittore Charles Didier lo definì terza meraviglia della Sicilia. Egli, durante il suo viaggio in Sicilia, ebbe un'informazione errata in quanto la terza delle tre meraviglie dell'isola, Monte, Ponte, Fonte, è la Fonte Aretusea di Ortigia e non il lago. Le altre due sono il Monte Etna ed il Ponte di Capodarso che attraversa il fiume Himera (oggi Salso). Il lago era anche portatore di febbre e morte a causa della diffusione, esattamente nei mesi estivi, della malaria portata dalle zanzare anofele. Giovanni Verga né parla nelle sue opere La malaria e La roba e lo stesso Didier, credendo di trovarsi davanti ad una delle tre meraviglie della Sicilia, afferma che esso è Uno stagno circondato da canneti e popolato di anguille, che invece di purificare il paese e di fertilizzarlo, lo infesta con la febbre e la morte. Così negli ultimi anni XIX sec. iniziarono lavori di bonifica che culminarono nel prosciugamento e nella scomparsa del lago negli anni '30. Ma tutto questo cominciò a portare successivamente dei danni alle attività agricole e di pesca della conca che circondava il lago, in quanto gli agrumeti rischiarono anch'essi di scomparire e i pescatori del lago dovettero così andare alla disperata ricerca di altre attività lavorative. Così, negli anni '70, con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno e grazie alla convenzione di Ramsar del 1972, che considerava prioritaria la protezione delle zone umide di tutto il pianeta, avvenne la riapertura del lago con dimensioni diverse rispetto a quelle del precedente. Prima del prosciugamento erano rispettivamente di 3 km di larghezza e di 5 km di lunghezza e il livello di profondità variava da mezzo metro a quattro metri a seconda delle condizioni meteo, mentre quelle attuali sono di 14 km complessivi di perimetro e di una capacità di 127 milioni di metri cubi d'acqua. Sempre nel periodo precedente alla chiusura emergevano all'interno del lago due isolotti chiamati rispettivamente isola grande e isola piccola i quali, nei periodi più piovosi dell'anno, vedevano variare le loro linee di costa. Questo era causato dal fatto che le piene del lago si riversavano sul vicino fiume S.Leonardo, sfociante sul golfo di Catania, che deve il suo nome al Santo protettore dei prigionieri al quale erano devoti i Normanni e che trovò dei promotori nei Templari. Un promontorio chiamato Cannedda di S.Francesco era fonte di nutrimento per le anguille e le tinche luogo di sosta per diversi uccelli migratori come le cicogne bianche, i cigni reali, gli aironi cenerini e i fenicotteri rosa.

























Attualmente la flora e la fauna che popola il lago è molto prolifica. La prima annovera le Callitriche Stagnalis, il Ceratrophyllum Demersum, che produce molto ossigeno, il Myriophyllum Spicatum, che ha un fiore con otto stami e le foglie pennate, il Phragmites communis, il Tamarix, lo Scirpus Lacustri, la Potamogeton Crispus (detta anche lattuga marina) e l'Ultricularia Vulgaria, particolare pianta carnivora che si nutre principalmente di piccoli crostacei tramite le vescicole presente nelle proprie foglie. La fauna è composta principalmente da diverse specie di uccelli migratori e oltre alle già citate specie, si notano gli aironi bianchi e rossi, la Sgarza ciuffetto, le anatre, le oche selvatiche, le Spatole, lo Svaso maggiore (noto per i suoi riti nuziali), il Mignattaio, i falchi pescatori, falchi di palude e falchi pellegrini, le folaghe, le gallinelle d'acqua e i porciglioni. Chiudono questo quadro quattro specie molto particolari come il Cavaliere d'Italia, la Avocetta e la Pittima Reale, noti perché si nutrono di invertebrati scovati col becco immerso nel fango del lago, e la Gru che ha un peso di circa 6 chili e un'apertura alare di oltre 2 metri e ha nel Biviere l'unica zona di svernamento in Sicilia. Infine cefali e i gamberetti d'acqua dolce si aggiungono alle specie prima menzionate per quanto riguardano i pesci e i molluschi che popolano il lago.

giovedì 7 luglio 2016

La punta nord-orientale della Sicilia: Ganzirri e Torre Faro


La punta nord-orientale della Sicilia è un qualcosa entrato nell'immaginario collettivo almeno sin da quando da bambini, spinti dalla curiosità, guardiamo le cartine geografiche. Quest'incantevole spazio del globo terrestre è reso tale da due splendide località: Ganzirri e Torre Faro. Si tratta di due borghi marinari col tempo sempre più inglobati nel comune di Messina tanto da essere diventati a tutti gli effetti due quartieri della città peloritana.

























Ganzirri si trova a circa 10 km da centro cittadino messinese. Nel suo comprensorio si trovano due laghi di cui uno porta il nome del luogo (chiamato anche Pantano Grande) e l'altro porta invece il nome del borgo contiguo, Faro (chiamato anche Pantano Piccolo). Essi sono collegati tra loro tramite un piccolo torrente detto Canale Margi. La zona, rinomata sia per la tradizionale attività di molluschicoltura che per essere luogo di villeggiatura, da qualche anno è stata inserita, esattamente il 21 giugno 2001, nell'area de La Riserva Naturale Orientata della Laguna di Capo Peloro, la quale copre una superficie di 68,12 ettari a terra. L'aspetto di borgo marinaro è conferito dai caratteristici vicoli stretti e dalle case basse ed insieme a Torre Faro, oltre a formare la punta nord-orientale della Sicilia, rappresenta il punto in cui la distanza tra l'isola e la Calabria raggiunge il suo minimo con solo 3,1 km.
A partire dall'inizio del borgo marinaro l'aspetto urbanistico della città, che fino a quel punto segue un percorso a tutti gli effetti litoraneo, cambia notevolmente e, fino alla punta estrema di Torre Faro, la zona a ridosso del mare è priva di strada litoranea con le costruzioni direttamente affacciate sul mare.

Il toponimo deriva dal vocabolo arabo Khanzir indicante in generale i suini, quindi sia il maiale che il cinghiale, e quindi una località ove abbondano entrambe le specie allo stato brado. Insieme al vocabolo anch'esso arabo Ghadir, significante stagno, gli arabi avrebbero chiamato il territorio Ghadir-Al-Khanzir ovvero Pantano dei cinghiali, in quanto l'animale era molto prolifico nel circondario peloritano e l'acqua piovana si raccolse fino a formare dei laghi acquitrinosi poco profondi. Dal vocabolo arabo deriva l'attuale forma dialettale messinese Canzirri, mentre il termine italiano ha risentito della fusione dei due vocaboli Ghadir e Khanzir generando per agglutinazione la variante ghanziri.

La Torre dei Saraceni è un tipico esempio di arte medievale e fu costruita nel XV sec. con lo scopo di sorvegliare la zona marina antistante e segnalare la presenza di navi. In cima ad essa si trovano diversi merli che fanno di essa, anche dall'aspetto quindi, una vera e propria roccaforte.

Il santo patrono del quartiere è S.Nicola di Bari a cui è intitolata la chiesa. La sua celebrazione ricorre ogni anno nella seconda domenica del mese di Agosto. La processione dei fedeli accompagna la statua del Santo per le principali vie del borgo alternandosi a brevi soste di preghiera. L'ultimo tratto della processione, il più caratteristico, si svolge sul lago. Qui il Santo è portato su una barca, in passato utilizzata per la tradizionale pesca del pesce spada, che attraversando per un breve tragitto il lago è seguita da numerose barche di fedeli. Questo attraversamento finale sulle acque del lago sottolinea il legame tra Ganzirri, il lago, i suoi abitanti e il mare.





Il lago di Ganzirri appartiene, insieme al lago di Faro, alla duna costiera di Capo Peloro, si estende per una superficie di 338.000 metri quadri, ha una lunghezza di 1,7 km, una larghezza di 250 metri e la sua massima profondità di 7 metri. La sua temperatura va dagli 11 gradi di Gennaio ai 31 di Agosto, viene alimentato da falde freatiche e da alcuni torrenti i quali, sfociandovi, fanno variare il livello di salinità tra estate ed inverno. Gli inglesi costruirono nel 1830 due canali, il canale Carmine a nord ed il canale Catuso a sud permettendovi così l'ingresso dell'acqua dal mare. Il canale Margi è un canale che, oltre a collegare i due laghi, rappresenta il punto in cui un tempo sorgevano altri due laghetti poi fusi nell'attuale lago, di cui uno portava il nome del canale e l'altro, più a nord-est, denominato Madonna di Trapani ed inoltre in questo punto di fusione il fondale è molto basso. All'interno del canale sorgeva, secondo la leggenda, un tempio di Nettuno e le acque che lo lambivano erano sacre al Dio, al punto che non se né poteva scandagliare il fondo senza incorrere nel pericolo di avere paralizzati gli atri che venivano a contatto con le venerate acque. I reperti attribuiti ad esso, che rinvennero nel 1810, furono delle colonne le quali, qualcuno sostiene che furono adoperate per la costruzione della cattedrale di Messina. Negli ultimi anni sono avvenuti fenomeni notevoli di morie di pesci a causa del propagarsi dell'anidride solforosa emessa dal batterio Desulfovibrio desulfuricans, il quale emerge nel momento in cui vengono smosse le acque aprendo e chiudendo i canali.
Per queste sue peculiarità quindi l'area compresa tra Ganzirri e Torre Faro è stata dichiarata bene d'interesse etno-antropologico. Caio Domenico Gallo nei suoi Annali riferisce che già nel 1500 esisteva qualche costruzione ma, a causa dell'ambiente paludoso e malsano e delle difficoltà a difendere le coste dalle incursioni dei corsari barbareschi, per attendere un vero e proprio sviluppo urbano della zona si dovette attendere il XVIII sec. Per questo motivo le costruzioni già esistenti nel succitato periodo erano solamente case di pescatori e coltivatori di molluschi e qualche magazzino. Da aggiungere anche che dopo il terremoto del 1783 le rive del lago erano quasi disabitate. La zona attualmente occupata dal canale Margi venne bonificata nell'800 dai Borboni. Attualmente il lago di Faro è tra i due quello più utilizzato per quanto riguarda la molluschicoltura mentre il lago di Ganzirri ha un interesse più turistico in quanto sono presenti, specialmente nella parte più vicina al mare, in cui sorge il nucleo principale del borgo marinaro, ristoranti in cui è sempre possibile gustare le specialità culinarie del luogo. La leggenda narra che, nello spazio antistante il lago di Faro, sorgeva l'antica città di Risa che sprofondò sotto il lago conseguentemente ad un cataclisma e di essa tra gli anziani del luogo c'è chi giura di averne scorto le strade e gli avanzi delle abitazioni disseminate di colonne. Delle peculiarità che caratterizzano il Lago di Faro sono la presenza di solfobatteri colorati fototrofi capaci di svolgere attività di fotosintesi anche in mancanza di ossigeno, la presenza di specie di vegetazione psammofila e di ambiente alofilo ed il fatto di essere, come del resto anche il lago di Ganzirri ed il lago Gurrida (del quale abbiamo trattato tre giorni fa), stazione di sosta per gli uccelli migratori.


























Torre Faro sorge esattamente a nord di Ganzirri e rappresenta in tutto e per tutto la punta nord-orientale della Sicilia. Situato in corrispondenza del promontorio collinare di Capo Peloro a 1,5 km dal mare i rilievi lasciano il posto ad un lido sabbioso. L'origine del toponimo è più discussa rispetto a quella di Ganzirri in quanto ci sono due ipotesi. La prima lo fa derivare dalla presenza di un faro attestato come edificio già in età preromana e ancora oggi esistente, che avrebbe così trasferito il nome al luogo e a quello di Casale del Faro (oggi Faro Superiore). La seconda ipotesi invece lo fa derivare dal nome Pharii, popolazione greca proveniente esattamente dalla città di Pharis che si sarebbero stanziate nella zona di Capo Peloro. Nella zona sono presenti i refoli, vortici generati dalla corrente dello Stretto, i quali, nei secoli passati, animarono la leggenda di Cariddi, una ninfa che rubò dei buoi al figlio Eracle e che fu trasformata da Zeus in un mostro che per tre volte al giorno ingoiava e rigurgitava le acque dello Stretto.






















Il Pilone è la costruzione che identifica maggiormente la zona. Esso è un traliccio in acciaio oggi in disuso della linea elettrica ad alta tensione 220 KV che attraversava lo Stretto, altro 232 metri, progettato e costruito tra 1948 e 1955 dalla Società Generale Elettrica della Sicilia e posto dirimpetto al suo omologo calabrese della collina di Santa Trada (alto 224 metri). Non è più in funzione dal 1994 in quanto i cavi si rivelarono insufficienti per soddisfare la richiesta energetica e furono installati dei cavi sottomarini. Adesso è una fonte d'attrazione turistica e in particolare la notte quando la struttura riflette le luci poste alla base e si staglia come un cono luminoso emergente dalla acque scuse dello Stretto.














La parrocchia del paese è dedicata alla Madonna della Lettera in quanto a Capo Peloro sbarcò la delegazione di messinesi di ritorno dalla Terra Santa nella quale si erano recati, spinti dalla predicazione di S.Paolo, in visita alla Vergine che per ringraziare consegnò loro una lettera sigillandola con un suo capello. In essa erano riportate le seguenti parole Vos et ipsam civitatem benedicimus (Benediciamo voi e i vostri concittadini) riportata anche sotto la statua presente sul molo del porto di Messina. Nel '600 parte della ciocca di capelli venne portata in processione imbarcandosi da Torre Faro fino a Palmi dov'era in corso una pestilenza gravissima. Questa finì nel momento in cui la processione arrivò li e adesso ogni anno, precisamente nel mese di Agosto, essa viene replicata sempre a Palmi e denominata Varìa. La tradizione religiosa vuole che la Madonna vegli sulla sulla città da quando nel '600, in occasione di una carestia, fece apparire miracolosamente nelle acque dello Stretto una nave carica di grano. Torre Faro è nato come insediamento con vocazione alla pesca , all'attraversamento di merci e persone e alla custodia dei punti di luce che dovevano salvaguardare chiunque attraversasse quella pericolosa strettoia al centro del Mediterraneo e di tutti i traffici navali del Vecchio Mondo. Nacque così un'aggregazione spontanea e lineare di case di pescatori che dal punto di vista architettonico ha tuttavia subito delle modifiche nel tempo, anche a causa dei terremoti del 1783 e del 1908. La marina inglese, nel corso del XIX sec., presidiò lo Stretto costruendo molte batterie sulla spiaggia, rendendo percorribile con le carrozze la via Consolare Pompea fino alla Torre del Faro e collegando i due laghi col mar Tirreno e con lo Stretto tramite la bonifica del sistema lacustre della duna, utilizzando quest'ultimo sia per ricovero delle imbarcazione che per l'attraversamento dello Stretto tramite i canali. Queste opere di bonifica portarono alla luce, oltre alle colonne utilizzate per costruzione della cattedrale, anche un basamento in mattoni e cocciopesto a tre gradini e alcune cisterne di età romana. Questi ultimi sono i resti del basamento del faro raffigurato in un'emissione argentea di Sesto Pompeo, datata in epoca precedente alla sconfitta di Sesto Pompeo e contemporanea al suo dominio in Sicilia. La moneta rappresenta sul dritto il faro di Capo Peloro sormontato da una statua di Nettuno dotato di elmo, tridente e timone e col piede su una prua. Innanzi al faro è presente una galera con a prua l'aquila legionaria e a poppa un tridente, una bandiera e un uncino d'ancoraggio. Nel rovescio si riconosce Scilla, il mostro della rupe calabra con due code di pesce e tre teste canine. Nei diversi conii di questa moneta il faro presenta elementi differenti. La torre è cilindrica con il basamento gradinato, a pianta circolare, due finestre, un marcapiano, una porta e una balconata. Strabone cita la Torre di Peloro assieme ad una torre analoga presso il Poseidonio di Reggio Calabria (esattamente in località Cannitello) nella sua Geografia (III, 5, 5). La moneta raffigurante il Faro ed il Faro stesso sono precedenti alla vittoria di Ottaviano su Pompeo nel 36 a. C.
 Il personaggio di Colapesce, esperto nuotatore e e pescatore, era di Torre Faro. La leggenda narra che durante un'immersione vide l'ingresso di una grotta nella quale il soffitto era sorretto da una colonna. Nelle immersione successive entrò in grotta e vide un immenso tesoro. Quando provò a portare in superficie parte del tesoro venne un fortissimo terremoto e la colonna si ruppe; così il Colapesce si sostituì alla colonna con la speranza che qualche amico pescatore che lo aspettava a riva scendesse giù ad aiutarlo. La leggenda vuole che egli sia ancora li a sorreggere un angolo della Sicilia.

La molluschicoltura, come già detto, è la principale attività lavorativa e produttiva della zona. In entrambi i laghi sono presenti pesci e frutti di mare come le cocciole (topes cardium) i cozzi (mythilius) e le ostriche. Plinio affermò che questi laghi nacquero dopo il terremoto che separò la Sicilia dal resto del continente. L'attività della mitilicoltura si divide in due parti: la coltivazione di quella che comunemente è chiamata cozza (Gallo provincialis) e la tellinicoltura , ovvero la coltivazione delle telline e delle vongole. Di queste ultime esistono quattro specie: la Tapes decussatus (vongola verace), la Cardium edule (cocciola rizza), la Tapes laetus (cocciola fimminedda) e la Lucina lactea  (cocciola padella). La coltivazione delle ostriche (Ostrea edulis), a differenza del XIXsec., adesso è quasi scomparsa. Molte generazione hanno costruito intorno a tale attività usi e costumi, consuetudini e rituali ma soprattutto abilità manuali che né hanno fatto una vera e propria cultura. La prima attività in ordine cronologico è stata quella dove l'intervento della mano umana era minore, quella dei cocciolari. La coltivazione delle cozze è nata successivamente, quando vennero conficcati i pali di castagno sui fondali del Pantano Grande per delimitare, entro la loro superficie, le zone di pesca e i singoli appezzamenti. Una volta appreso il ciclo di crescita dei frutti di mare vennero installati i collettori artificiali. Questo processo è molto lungo e viene tuttora gestito sfruttando entrambi i laghi in base al processo di crescita dei mitili. Negli ultimi anni questa enorme attività ha subito una crisi. Mentre tra gli anni 60 e 70 l'attività dava da vivere a parecchie famiglie con produzione annua di circa 100 kg di vongole per montagnola e 80 cantari di cozze per quadrato o appezzamento, l'impoverimento del plancton ha allungato il periodo di allevamento da uno a due anni. L'impoverimento del plancton si spiega a sua volta col fatto che i due laghi negli ultimi anni sono stati utilizzati come bacini di incontrollato deposito di mitili importati da altre zone per soddisfare le richieste del mercato.





mercoledì 6 luglio 2016

La strada litoranea di Messina tra storia e cultura


La strada litoranea di Messina, detta dal punto di vista toponomastico Via Consolare Pompea, è una strada a lunga percorrenza sita nel capoluogo peloritano che ha inizio nella rotonda nella quale termina il Viale della Libertà (nel quale è situato l'imbarco dei traghetti che partono per Villa San Giovanni) e termina nel punto cui inizia il borgo marinaro di Ganzirri. Essa è meta balneare dei messinesi data la presenza di stabilimenti ed è occupata sul lato mare da una comoda pista ciclabile. Negli anni che vanno dal 1860 al 1949 venne servita dalla tranvia Messina-Barcellona che nel 1917 fu elettrificata nella tratta fino al borgo marinaro di Torre Faro.
Lungo il percorso si incontrano quattro diversi quartieri detti Paradiso, Contemplazione, Pace e Sant'Agata.
Il quartiere Paradiso è il primo che si incontra e l'origine del toponimo è tuttora discussa. Da una parte c'è chi afferma che esso derivi da un podere acquistato dal cavaliere Don Raimondo Marquett e trasformato in una villa sontuosa, con tanta dovizia di copiose fontane, artificiose spalliere di mortine, gelsomini, limoni, arance e per l'abbondanza di ottimi frutti da meritare un tale nome. In essa i vicerè si fermavano prima dell'ingresso nel centro della città e al suo interno conservava tante meraviglie storiche, naturalistiche e artistiche, tra libri e opere d'arte, organizzate in una wunderkammen paragonabile ad altre raccolte peloritane datata tra Cinque e Settecento come quella del matematico Francesco Maurolico, quella della galleria del principe Antonio Ruffo ed il casino di delizia del giureconsulto Giuseppe Bottone. Tra i cimeli conservati in villa Paradiso figuravano argenti, vasi, sigilli e dattiloteche. L'altra ipotesi fa derivare il toponimo dall'oratorio della Madonna del Paradiso oggi scomparso.










   
  






Il quartiere Contemplazione prende il nome dalla Chiesa della Madonna della Contemplazione costruita nel secolo XVII da una famiglia privata che la teneva a disposizione della gente del luogo per l'esercizio del culto. Nel 1875 vi fu fatto un restauro da Carmelo Romano al quale è tuttora dedicata una lapide. Nel 1908 fu danneggiata dal terremoto e fu successivamente riparata dai Frati Minori di Portosalvo, Rimase operativa fino al 1960 anno in cui fu costruita la Chiesa Cuore Immacolato di Maria. Così la vecchia parrocchia fu abbandonata e subì un degrado con conseguente crollo del tetto che fu restaurato solo una ventina di anni fa. Essa possiede un portale in pietra, due nicchie al prospetto e una Madonna in timpano in pietra. Nell'attuale parrocchia è conservata una tela raffigurante la Madonna della Contemplazione.








 

















Il quartiere Pace prende il nome anch'esso da un'antica chiesa oggi scomparsa detta Madonna della Pace ma anche dall'omonima fiumara. La Chiesa S.Maria della Grotta (detta anche S.Maria delle Grazie) fu costruita nel 1622 da Simone Gulli nei pressi di un oratorio cinquecentesco per volere del viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia. Nel 1908 fu danneggiata dal terremoto e fu ricostruita con aula a pianta centrale circondata da portici e con in alto un'imponente cupola sul modello della precedente e fu inaugurata nel 1931. Il Fortino fu edificato nel XVI secolo su un'antica torre medievale e fu poi restaurato dagli inglesi e dai Borboni nell'800. Successivamente fu dismesso da struttura militare ed oggi appartiene alla famiglia Mauro. L'imbarcazione paciota è un grosso gozzo in legno a 4 o 8 remi utilizzato in antichità per il trasporto. Unico per la sua agilità venne usato anche per gare remiere tra i borghi marinari di Messina. La più famosa di queste è U Paliu che si svolge ancora oggi due volte all'anno: la prima volta il 15 agosto in occasione dei festeggiamenti per la VARA e la seconda volta in occasione dei festeggiamenti per la Madonna delle Grazie la seconda domenica di settembre.
















Infine il quartiere Sant'Agata prende anch'esso nome, come Contemplazione e Pace, da una parrocchia edificata nel 1921 ma ha una storia molto particolare. Nel 1040 il generale bizantino Maniace trafugò dalla Sicilia i corpi di S.Lucia e S.Agata. Nel 1126 i due monaci Gisliberto e Gaselmo riportarono in Italia le preziose reliquie. Quella di S.Lucia è stata portata a Venezia e adesso è conservata all'interno dell'omonima chiesa (da cui prende nome anche la stazione ferroviaria lagunare) mentre quello di S.Agata fu concesso ad alcuni pellegrini siciliani che dopo aver attraversato lo Stretto lo portarono nel borgo marinaro, il quale ha così preso il nome della Vergine catanese. Da qui fu poi trasferito in città in una casa di piazza Duomo che fu poi riconvertita in chiesa intitolata alla santa e affidata alle cure dei Padri Minoriti. Questa chiesa veniva chiamata S.Agata dei Lebbrosi  su la via del mare verso tramontana, in quanto fu stabilito un legato in favore dei lebbrosi di S.Agata. Quest'ospedale si trovava poco più a nord del bivio per Faro Superiore e Curcuraci e fino alla fine del dopoguerra erano visibili i ruderi. Nel 1542 il Senato operò la fusione tra i vari ospedali della città per dare luogo al grande ospedale civico della Pietà, il quale assunse la gestione del lebbrosario di S.Agata.












martedì 5 luglio 2016

Ognina (Catania)





Ognina è un quartiere di Catania facente oggi parte della II municipalità il cui nome è Ognina-Picanello che dal 2013 è stata accorpata all'ex IV municipalità che comprendeva i quartieri di Barriera del Bosco, Canalicchio e Santa Sofia. Si trova nella periferia nord-est della città, nella quale è sito anche il Porto Ulisse. Il toponimo originario era Lognina, termine che deriverebbe dal castello di Longon attraverso il toponimo Longane, nome attribuito al fiume sotterraneo che qui vi trovava il suo sfogo riversandosi in mare. Un'altra ipotesi fa derivare il toponimo dal nome di Oncia dea panellenica a cui sarebbe stato dedicato un tempio ed un'iscrizione lo attesterebbe. La prima ipotesi è comunque attualmente quella più accreditata. Sono numerosi i monumenti di epoca antica tra cui spicca un tesoretto risalente al V-VI secolo a. C. presso il Porto Ulisse.
Il quartiere, in origine antico borgo marinaro, confina a nord con il quartiere Feudo Grande ( chiamato dai catanesi A Carrubba o più genericamente Ognina alta), a est è bagnato dal Golfo di Catania, che da li ha inizio, a sud col quartiere Rotolo e a ovest col quartiere Picanello. Esso si divide a sua volta in una parte antica e in una moderna. La parte antica è concentrata nell'entroterra ed è rappresentata dalla via Messina, che percorre l'intero quartiere, e dalle piccole vie che conducono alla piazza Ognina, dove ha sede la parrocchia della Madonna in Ognina, i cui festeggiamenti hanno luogo l'8 settembre ed arrivano fino alle rive del mare. Dal 1962, anno in cui fu costruita l'attuale strada litoranea, essa è sovrastata da un viadotto che, oltre a rappresentare un tratto di viale del lungomare, offre una splendida veduta sul golfo e sul Porto Ulisse. Infine la piazza Mancini Battaglia, il cui nome deriva da un'antica famiglia nobiliare avente delle proprietà li pressapoco fino al XIX secolo, che rappresenta la parte finale del quartiere e che attualmente incrocia la circonvallazione.

La parte moderna si è sviluppata in virtù del forte incremento edilizio e demografico che il quartiere ha subito nella anni 60 e 70 del 900. Il nucleo principale di essa ha sede nel viale Artale Alagona e nel viale Ruggiero di Lauria che sono i nomi dei due diversi tratti del lungomare, costruito nei primi anni 60. In parallelo ad esso vi è il viale Alcide De Gasperi che ha inizio da un muro che lo divide da piazza Europa ed in futuro dovrebbe arrivare alla circonvallazione. Nelle stesso tempo esso incrocia la via Del Rotolo la quale, nella parte iniziale rappresenta uno spartiacque col contiguo quartiere di Picanello.
Il borgo marinaro di Ognina è legato alla leggenda e al mito di Ulisse che, sin dalla stesura del poema Il Ciclope, si vuole sbarcasse lungo la frastagliata costa catanese. Durante il Medioevo la costa, l'abitato e il porto del borgo marinaro vennero sconvolte dall'eruzione dell'Etna del 1169 originatasi tra gli attuali comuni di Tremestieri Etneo, Gravina di Catania e Mascalucia. Sul porto venne eretta un'alta torre cilindrica con scopi prevalentemente militari datata tra XIV e XV sec. la quale fu successivamente convertita  a campanile per la chiesa di S.Maria di Ognina che adesso è di aspetto tardo-barocco in quanto ricostruita dopo il terremoto del 1693. Nel 1356 sul porto Ulisse avvenne lo scacco di Ognina, battaglia navale tra angioini e aragonesi durante le Guerre del Vespro che segnò una svolta definitiva a favore dei feudatari siciliani.



















Il nucleo paesaggistico attuale ha cominciato a svilupparsi a partire dal XIX secolo quando, oltre alla già presente attività della pesca, si insediarono le attività estrattive dello zolfo. Dal 1830 in poi vennero realizzate le strade di collegamento con Messina e dal 1866 le linee ferroviarie di collegamento, oltre che con Messina e Siracusa, con Caltagirone importante per il trasporto delle materie prime provenienti dalle zolfatare della Sicilia centromeridionale. La borgata più a sud, in parallelo all'altro borgo marinaro San Giovanni Li Cuti e costituita da una superficie di lava vulcanica assunse la denominazione di Guardia-Ognina in quanto venne contemporaneamente costruita la chiesa di S.Maria della Guardia. Dagli anni 30 in poi il borgo subì un drastico cambiamento in quanto cessarono le attività dello zolfo e cominciò uno sviluppo edilizio favorito dal varo, nel 1931, del piano regolatore generale. L'antico borgo divenne a tutti gli effetti un quartiere cittadino e durante la Seconda Guerra Mondiale vi furono installati i bunker e la contraerea dell'esercito tedesco. Ma il cambiamento definitivo avvenne a partire dalla fine degli 50 con la costruzione della strada litoranea che portò, a sua volta, alla demolizione della chiesa di Sant'Euplio in Ognina sita nell'area antistante la discesa verso il porticciolo. Il litorale catanese fino ad allora era occupato per metà dai binari ferroviari, nella tratta oggi chiamata Viale Ruggiero di Lauria, e per l'altra metà, nella tratta chiamata Viale Artale Alagona, da roccia lavica nera e da piccoli stabilimenti industriali. Questi ultimi vennero chiusi e demoliti e sostituiti da grandi complessi residenziali e la litoranea assunse così l'attuale suggestivo aspetto turistico con l'apertura di bar, ristoranti e alberghi. Nel periodo che va dagli anni in cui vennero costruiti la circonvallazione e la strada litoranea e il 1971 la congiunzione tra le due arterie era permessa da un piccolo svincolo a raso. Nel 1971, per imitare, anche in modo approssimativo ed illogico i modelli urbanistici americani, esso venne sostituito da uno svincolo a tre livelli costituito da un sottopasso per chi veniva dalla circonvallazione e doveva imboccare per la scogliera (livello -1) sovrastato a sua volta da un piccolo viadotto per chi proveniva dalla scogliera e doveva imboccare il lungomare (livello 0) ed infine un altissimo ponte per chi proveniva dal lungomare e doveva imboccare la circonvallazione direzione ovest (livello 1). Nel 2004, dopo trentatrè anni quindi, il ponte venne demolito, con grande sponsorizzazione mediatica dell'allora sindaco Scapagnini, con conseguente riempimento del sottopasso e chiusura del piccolo viadotto che costituiva il livello intermedio, e sostituito da una rotatoria con tanto di fontana al suo interno, che riprendeva grosso il modello della precedente rotatoria del periodo tra 1962 e 1971. Infine annotiamo che nello scorso mese di maggio 2016 la strada litoranea è occupata sul lato mare da una pista ciclabile che dovrebbe a momenti, si spera, risolvere il problema della circolazione degli amanti della bicicletta.

















lunedì 4 luglio 2016

Lago Gurrida




Il lago Gurrida è una formazione idrologica situata nei pressi di Randazzo in provincia di Catania sul versante nord-occidentale dell'Etna, esattamente nella parte sud del comune ad una quota di 835 metri sul livello del mare. Esso fu creato da uno sbarramento dovuto ad una colata lavica avvenuta nel 1536, la quale creò una diga sul vicino fiume Flascio. Nei mesi estivi è spesso in secca a causa della mancanza di un'adeguata alimentazione, mentre al contrario in quelli invernali avviene l'esondazione.
In quest' ultimo caso l'acqua in eccesso viene raccolta in una sorta di bacino secondario e la zona coperta dall'acqua si espande fino ad allargare i vigneti e i frutteti circostanti. Il lago è spesso meta di numerose specie di uccelli migratori che approfittano della zona umida per una sosta lungo le loro rotte. Le specie di uccelli che si incontrano sono l'anatra moretta, detta carbunaru in dialetto, il falco cuculo, il tuffetto, la ballerina gialla, detta in dialetto tremacuda, l'averla rossa, bellaronna in dialetto, l'airone cenerino, il germano reale, le garzette, le folaghe, l'airone rosso, diversi tipi di anatre, le pavoncelle, i pivieri, i beccancini, le pettegole, i piovanelli, il cormorano, la cicogna nera, la cicogna bianca e il falco pescatore. Queste ultime tre specie si nutrono di pesci come le tinche, le carpe e le gambusie. Negli anni passati era possibile visitare il lago e i vigneti in tutte le stagioni grazie ad un sentiero realizzato dal parco dell'Etna e contrassegnato dal cartello "Un sentiero per tutti". Esso era composto da una passerella in legno che passava sopra la zona umida e da due strutture per osservare gli uccelli durante i loro voli, A causa della mancanza di manutenzione la zona ha subito un forte degrado e così la passerella è stata bruciata, il sentiero è invaso dai rovi e le strutture per osservare gli uccelli sono state abbandonate. Persino la stazione della Ferrovia Circumetnea è da anni abbandonata ed il treno vi effettua la fermata solo su espressa richiesta dei viaggiatori.

Salve mi chiamo Giuliano ho 27 anni sono di Catania e sono laureato in Lettere moderne. Da oggi parte l'avventura di questo mio nuovo blog che si intitola Paesaggi nascosti. In questo blog mi occuperò di diversi luoghi dell'Italia iniziando dalla mia terra la Sicilia. Partiremo da una breve descrizione dei luoghi per poi di volta in volta addentrarci nelle curiosità più latenti che spesso nei media vengono trascurati. L'idea nasce da una mia tendenza che ho sin da bambino, ovvero quella di esplorare i luoghi dove andavo e curiosare di volta in volta sulla loro storia e sulla loro evoluzione. Ad esempio quando un luogo adesso pienamente urbanizzato magari cinquant'anni o sessant'anni addietro era di aspetto totalmente agreste (e la mia città è davvero ricca di esempi del genere). Quest'idea è figlia di questa mia curiosità che nel tempo è andata sempre più crescendo e che ha trovato sfogo nella consultazione di documenti sia testuali che fotografici nei luoghi più disparati. Adesso non mi resta che augurarvi buona lettura ricordandovi che a breve promuoverò questo mio blog su Facebook e su Whatsapp.