Giuliano Spina nato a Catania il 18/03/1989 laureato in Lettere moderne

giovedì 11 agosto 2016

La parola modo nel dialetto siciliano


La parola modo, abbreviata per sincope in mo, è un'espressione che nei tempi moderni nel dialetto siciliano è molto rara e viene perlopiù accomunata ai dialetti della zona centromeridionale d'Italia. Tuttavia in un passato abbastanza remoto la parola era in grande uso nel dialetto siciliano ed in particolare nelle province di Messina e Siracusa. Il valore il significato di essa corrispondevano a quello che aveva nel dialetto calabrese e la sua diffusione all'interno dell'isola è avvenuta in relazione alla conquista del territorio da parte dei Romani. Nel latino la particella era tra quelle che si univano al cosiddetto imperativus iussivus per rafforzarlo ed in espressioni come sequere hic modo e sedete hic modo essa aveva significato di dunque, orsù con valore temporale. La locuzione vide modo esprimeva ammonimento o minaccia mentre, una volta unita a parole come liceat o veniat, con il congiuntivo in tutte le persone, esprimeva desiderio ed esortazione. Tuttora, anche se in maniera comunque minore rispetto al passato, la forma di cortesia e rispetto porta quasi sempre il nome di persona vossignoria, si esprime con la terza persona singolare e plurale e può esprimere anche consiglio o preghiera. Nella zona del palermitano si utilizza la terza persona dell'imperfetto congiuntivo, mentre nelle zone del nisseno, dell'agrigentino, a Noto e a Modica sentiamo dire vossìa o vossa o ssa parra con la terza persona singolare presente all'indicativo. Nella costa orientale sicula la particella è successivamente diventata mi e nella zona tra Messina e Mistretta, piccolo centro facente parte della città metropolitana peloritana, si univa alla terza persona singolare dell'indicativo, mentre, una volta superato il fiume Simeto, precisamente a Leonforte, Assoro, Nissoria, Caltagirone. Lentini, Augusta e Siracusa si usa oggi vossa. Ad Ucria, sempre nella zona del messinese, è molto comune l'espressione mi mancia che è imperativo ed è quasi uguale alla voce palermitana mentre a Randazzo si usano tre espressioni, mi si sietta nei rapporti di confidenza, s'accomodassi nel registro linguistico più elevato e vossìa mi si sietta nei rapporti con persone di rispetto. Nella provincia di Catania l'uso di mi è stato quasi sempre assente, tranne che nei comuni di Giarre, Risposto e Acireale. Una poesia scritta da Gregorio Infantino di Mascalucia, comune appartenente all'area metropolitana di Catania, scritta in occasione del colera del 1743 a Messina recita: A Taormina marina e campagna cu surdatu e cannuni mi arripara issi a Milazzo. L'uso del mi o del mu nelle proposizioni indipendenti è mi trasi (entri), mentre nella proposizione dipendente è ci dissi mi trasi. Si nota così che il tempo utilizzato nelle è quasi sempre il presente, specialmente quando viene utilizzato il mi al posto dell'infinito per introdurre uno scopo e dopo i verbi dichiarativi e interrogativi, mentre mo con il significato di ora è tipico del dialetto napoletano e di quella calabrese settentrionale, oltre che del romanesco, e si pone sempre davanti al verbo. Nel siciliano e nel calabrese meridionale la  in uscita diventa sempre u, tranne che in parole come mio, io, mo e no. Mo è un avverbio derivato da modo e mu è un congiuntivo e nella zona del messinese il passaggio della particella da mu a mi è dovuto alla presenza della particella ki equivalente a ca negli altri vernacoli siciliani.





1 commento:

  1. Interessante! Ma il siciliano non è un dialetto, è una lingua con dialetti

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