Giuliano Spina nato a Catania il 18/03/1989 laureato in Lettere moderne

mercoledì 3 agosto 2016

La malaria diffusa dalle acque del Biviere descritta da due grandi autori: Charles Didier e Giovanni Verga




La malaria fu, come ben sappiamo, la causa principale che portò prima ai lavori di bonifica e poi al prosciugamento negli anni '30 del Biviere di Lentini. L'argomento fu trattato nella letteratura da due grandi autori: Charles Didier e Giovanni Verga. Sul primo, come già accennato tempo addietro, si dice spesso che abbia dato alla nota formazione idrologica il nome di terza meraviglia della Sicilia, ma ciò non è vero in quanto si trattò di un'informazione errata che egli ebbe. Le tre meraviglie della Sicilia erano per l'appunto Monte, Ponte, Fonte, ovvero il vulcano Etna, il ponte di Capodarso passante sopra il fiume Himera e la Fonte Aretusea sita nell'isola di Ortigia, e non il Biviere di Lentini. Lo scrittore giunge al Biviere dopo aver percorso l'isola in senso antiorario partendo da Messina e quando vi giunge afferma che il lago, che in teoria doveva fertilizzare e purificare la città di Gorgia, non è altro che uno stagno circondato da canneti e popolato di anguille che infesta il paese con la febbre e la morte; la malaria regna sulle sue rive e da ai pochi abitanti che l'affrontano l'aspetto di spettri. Sottolinea così la pericolosità del luogo soprattutto nei mesi più caldi dell'anno e come il paese risente di questo flagello.


Giovanni Verga, esponente del Verismo italiano, tratta il tema della malaria diffusa nella zona attorno al Biviere in due opere sue, La malaria e La roba.  Esse sono due novelle appartenenti entrambe ad una raccolta, le Novelle rusticane pubblicate nel 1883. Ne La malaria egli descrive la malaria in quanto malattia trasmessa da un particolare tipo di zanzara, ma soprattutto come protagonista di tante storie aventi come teatro la Piana di Catania. Viene così sottolineato come in questi luoghi vi sono dei campi fertili in cui i contadini lavorano incessantemente per portare a casa da mangiare, ma spesso fanno la fine delle spighe in quanto vengono resi deboli fino a morire. Il Biviere viene qui menzionato all'inizio dell'opera e viene descritto come uno stagno senza una barca, colle sponde piatte, senza un albero sulla riva, tutto ciò ad affermare come a causa della diffusione del morbo nessun pescatore può svolgere la propria attività. Un altro passo che sottolinea il diffondersi della malattia è Qui il pastore è giallo di febbre, bianco di polvere e con le palpebre gonfie. E' che la malaria v'entra nelle ossa col pane che mangiate e se aprite la bocca per parlare. Infine un ultimo passo che mostra come le particolarità paesaggistiche e agricole del luogo, come le colline e gli aranceti, vengono visti come elementi di riparo dal contagio del morbo è Invano Lentini, Francofonte e Paternò cercano di arrampicarsi come pecore sbrancate sulle prime colline che scappano dalla pianura, e si circondano di aranceti, di vigne e di orti sempre verdi; la malaria acchiappa gli abitanti per le vie spopolate, e li inchioda dinanzi agli usci delle case scalcinate dal sole, tremanti di febbre sotto il pastrano, e con tutte le coperte del letto sulle spalle.
Ne La roba Verga narra la vicenda del contadino Mazzarò il quale, avido di ricchezza, compra diversi possedimenti nella zona della Piana di Catania ottenendo, dalle vendite dei prodotti che coltiva, ulteriore denaro per comprare altri terreni. Questi ultimi, prima di essere acquistati, erano di proprietà di un barone che alla fine si ritrova costretto a vendere anche il proprio castello. Questa novella di Verga è molto importante perché mette in mostra una delle caratteristiche fondamentali della produzione verghiana, la tecnica dello straniamento, che consiste nell'utilizzare un punto di vista estraneo all'oggetto per narrare una vicenda o descrivere un personaggio. La novella inizia con la descrizione del cammino di un viandante lungo le rive del Biviere, luogo in cui sono siti i possedimenti di Mazzarò, che chiede di chi sono quelle terre ed esprime stupore quando scopre che esse appartengono a Mazzarò. Qui il Biviere viene descritto come un pezzo di mare morto. La malaria viene citata per tre volte. La prima volta nel momento in cui un lettighiere cantava la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria. La seconda volta quando il viandante continua il suo cammino, esattamente nel passo E cammina cammina mentre la malaria vi pesava sugli occhi. La terza volta infine nel passo Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria. Questo passo mette in mostra il tema principale della novella, l'avarizia, e sottolinea come, malgrado il propagarsi del morbo, l'ossessione per l'espansione dei possedimenti di Mazzarò fosse davvero tanta da non prestare attenzione egli stesso alla diffusione della malaria.  











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