Giuliano Spina nato a Catania il 18/03/1989 laureato in Lettere moderne

venerdì 16 settembre 2016

Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro: unico esempio di sonetto di Scuola Siciliana pervenuto in dialetto siculo


Stefano Protonotaro da Messina è stato uno scrittore italiano, di ignota data di nascita e appartenente alla Scuola poetica siciliana. Molte fonti affermano che esso sia identificabile con uno Stefano da Messina che tradusse dal greco al latino e dedicò due trattati arabi di astronomia a Manfredi, figlio di Federico II, ma quest'ipotesi non è stata ancora del tutto accertata. Nacque a Messina quando la Sicilia era ancora parte del Regno di Sicilia, lo Stato sovrano istituito nel 1130 con la fusione della Contea di Sicilia e del Ducato di Puglia. Il suo componimento più conosciuto è Pir meu cori alligrari ed è, tra tutti i componimenti appartenenti alla Scuola Siciliana, l'unico ad esserci pervenuto interamente in lingua siciliana, in quanto gli altri componimenti di essa, a causa della gran diffusione che ebbero nel resto della penisola, ci sono pervenuti in codici linguistici toscani, come quello Vaticano latino e quello Laurenziano. Colui che ha reperito questo componimento fu Giovanni Maria Barbieri, grande filologo del '500 il quale la copiò da un codice che in seguito è andato perduto. In esso quindi abbiamo un grande esempio di siciliano illustre, ovvero quel linguaggio che i seguaci colti di Federico elaborarono attraverso il raffinamento della lingua parlata e comune, rendendo così più regolari certe forme ed introducendo il lessico tecnico della poesia d'amore provenzale. Qui, quando un amore, tema principale del componimento, non viene ricambiato, la sopportazione del dolore porta a non perdere la speranza e a conquistare la gloria. La canzone è quindi formata da un metro unissonans, con rime uguali ad ogni stanza al quale segue, secondo il modo provenzale, una tornada o congedo di struttura uguale alla sirma. I versi utilizzati sono il settenario, con l'ultimo accento sulla sesta sillaba, e l'endecasillabo, con accento sulla decima sillaba. Da notare come, all'interno della Scuola Siciliana, fu per la prima volta utilizzato il sonetto, forma poetica adatta ad esprimere un motivo grazie alla sua tipica brevità. Nel vocalismo della prima stanza della canzone si nota la base siciliana-comune. Il siciliano ha un sistema a cinque vocali in sillaba tonica e, a differenza del toscano, l'insieme delle vocali in sillaba accentata non presenta e ed o chiuse ed aperte, ma e aperta in luogo della e latina lunga, ed o aperta in caso di o latina breve ed u in caso di o latina lunga. Così quindi quasi tutto ciò che conosciamo della produzione della Scuola siciliana ci si presenta sotto una forma diversa da quella caratteristica di questa canzone.

Pir meu cori alligrari, 
chi multu longiamenti 
senza alligranza e joi d’amuri è statu, 
mi ritornu in cantari, 
5ca forsi longiamenti 
ca forsi levimenti 
da dimuranza turniria in usatu 
di lu troppu taciri; 
e quandu l’omu ha rasuni di diri, 
10ben di’ cantari e mustrari alligranza, 
ca senza dimustranza 
joi siria sempri di pocu valuri: 
dunca ben di’ cantar onni amaduri. 
E si pir ben amari 
15cantau jujusamenti 
omu chi avissi in alcun tempu amatu, 
ben lu diviria fari 
plui dilittusamenti 
eu, chi son di tal donna inamuratu, 
20dundi è dulci placiri, 
preju e valenza e jujusu pariri 
e di billizzi cutant’abundanza 
chi illu m’è pir simblanza, 
quandu eu la guardu, sintir la dulzuri 
25chi fa la tigra in illu miraturi; 
chi si vidi livari 
multu crudilimenti 
sua nuritura, chi ill’ha nutricatu: 
e sì bonu li pari 
30mirarsi dulcimenti 
dintru unu speclu chi li esti amustratu, 
chi l’ublïa siguiri. 
Cusì m’è dulci mia donna vidiri: 
ca ’n lei guardandu me[t]tu in ublïanza 
35tutta autra mia intindanza, 
sì chi istanti mi feri sou amuri 
d’un colpu chi inavanza tutisuri. 
Di chi eu putia sanari 
multu leg[g]eramenti, 
40sulu chi fussi a la mia donna a gratu 
meu sirviri e pinari; 
m’eu duttu fortimenti 
chi, quandu si rimembra di sou statu, 
nu•lli dia displaciri. 
45Ma si quistu putissi adiviniri, 
ch’Amori la ferissi di la lanza 
che mi fer’e mi lanza, 
ben crederia guarir di mei doluri, 
ca sintiramu engualimenti arduri. 
50Purrïami laudari 
d’Amori bonamenti 
com’omu da lui beni ammiritatu; 
ma beni è da blasmari 
Amur virasimenti 
55quandu illu dà favur da l’unu latu 
e l’autru fa languiri: 
chi si l’amanti nun sa suffiriri, 
disia d’amari e perdi sua speranza. 
Ma eu suf[f]ru in usanza, 
60ca ho vistu adess’a bon suffirituri 
vinciri prova et aquistari unuri. 
E si pir suffiriri 
ni per amar lïalmenti e timiri 
omu acquistau d’amur gran beninanza, 
65dig[i]u avir confurtanza 
eu, chi amu e timu e servi[vi] a tutturi 
cilatamenti plu[i] chi autru amaduri


All'interno di questo componimento si nota un modo di parlare d'amore cervellotico, intellettualistico ed autoreferenziale. Dal punto di vista linguistico troviamo diversi francesismi e provenzalismi nei quali è palese l'influenza dei trovatori e dei trovieri. I termini di origine in langue d'oil sono tutte le parole che terminano in -anza ed in -aggio, con la differenza che, mentre quest'ultimo suffisso è a tutti gli effetti francese, -anza ed -enza possono essere anche di origine latina. I provenzalismi si notano in termini come dolciore e miraturi, il quale si alterna con il francesismo speclu, entrambi significanti specchio, per il suffisso in -ore. Questo componimento non è musicato in quanto la poesia della Scuola Siciliana si caratterizza per essere una poesia di alto livello intellettuale, mentre si crea una forte antitesi tra metro e sintassi ed un forte legame sintattico tra una stanza e l'altra. Da un punto di vista lessicale sono da sottolineare il verbo fare, usato per rendere più astratti i concetti, placiri, verbo che viene collegato all'idea di bellezza ed in cui il soggetto è colui che viene amato, pregio, indicante una qualità relativa al valore ed intellettuale di una persona, illu, termine traducibile con l'attuale siciliano chiddu, che vuole dire lui con un significato più profondo rispetto al solito, pariri, il quale vuole dire sembrare, tutisuri, equivalente di a tutte le ore, metto in oblio, frase che rende il discorso più astratto grazie alla sostituzione del normale verbo con ausiliare ed un sostantivo deverbale. Sono presenti anche forme come putria, vurrìa, avria, le quali mostrano i primi tentativi di differenziazione dei futuri e dei condizionali che ha poi portato all'utilizzo di molti termini del linguaggio attuale, mentre si nota come alcune parole alternano la forma latina con quella del volgare parlato, ad esempio monstrai (forma latina) alternata a mostrai (forma volgare).











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