venerdì 9 settembre 2016
Va vacci, nun siari, veni cca a mattri, verbi con suffisso -ulu: quattro terminologie della sintassi siciliana
Nella storia dell'evoluzione del dialetto siciliano, più precisamente nell'ambito della sintassi, si incontrano quattro terminologie molto frequenti nel linguaggio confidenziale: va vacci, nun siari, veni cca a mattri ed i verbi con la forma imperativa avente il suffisso in -ulu. Nun siari riguarda la costruzione di un verbo di moto, il quale si può trovare nella funzione indicativa, congiuntiva o imperativa, e regge l'infinito con la preposizione a. A Catania gli esempi di costruzione imperativa possono anche non avere questa particella e sono va pigghia e va pigghiala. Questa occasionale mancanza si spiega con il fatto che, quando ci sono più preposizioni unite tra loro con lo stesso soggetto e che si succedono l'una e l'altra, si utilizza la copula e, e questa giustapposizione è molto comune con due imperativi. Nel caso di Catania la particella a viene incorporata nel verbo e in alcuni casi provoca il raddoppiamento della consonante iniziale del verbo successivo. Quando è presente la copulazione con la particella a, la quale traduce il latino ac, i soggetti dei due verbi sono solo apparentemente della stessa persona ma in realtà non lo sono, e manca l'azione rapida ed emotiva, malgrado la presenza dell'imperativo. Per i siciliani è una regola unire i pronomi clitici al secondo verbo come nel caso di vallo a pigliare equivalente a lo vai a pigliare. Infine c'è da fare una precisazione, ovvero che il verbo essere è tra quei verbi che ricorrono al congiuntivo per esprimere un comando, soprattutto quando si tratta di una forma negativa.
Le forme sii e siate del verbo essere sono forme del congiuntivo esattamente quando indica volontà, ma questo modo manca nella seconda persona singolare dell'imperativo negativo. Così nel siciliano abbiamo la funzione di infinito per l'imperativo negativo accanto a quella più ovvia di esso, ovvero nun siari ostinatu utilizzata quanto nun essiri ostinatu. La voce verbale siari è una forma mista in quanto è un infinito quando ha la desinenza -re ed un congiuntivo quando ha la radice sia-, la quale unita alla negazione nun esprime il modus prohibitivus latino. Sempre a Catania si trovano le due forme nun siari e nun essiri, quest'ultima avente la variante del basso vernacolo nun gnessiri, la quale, rispetto alla prima che esprime cortesia, esprime invece comando.
Il costrutto veni cc a mattri è una di quelle locuzioni abbreviate e ridotte ad un solo sostantivo, il che contrasta con la definizione di preposizione che ci viene data di solito dalla grammatica logica, ossia il fatto che essa, per essere definita preposizione, deve avere come proprio centro un verbo di modo finito. Il legame affettivo che la donna siciliana ha con il proprio figlio viene messo in rilievo dal sostantivo indicante il grado di parentela che essa ha rispetto al figlio. Tradotto letteralmente significa Io, come madre, io, che sono la madre, ti dico: vieni qua, e questo riguarda anche gli altri tipi di parenti, il padre, il nonno, lo zio ed anche il fratello maggiore, fino ad arrivare anche al rapporto tra capo operaio e garzone. La locuzione viene quindi utilizzata quando l'interlocutore è di grado inferiore rispetto a colui che parla, sia nell'ambito della parentela che in quello lavorativo, e l'indicativo nella preposizione completa iu ti vogghiu beni u mastru la rende una preposizione relativa-appositiva con eventuale ellissi del verbo iu u mastru.
Infine riguardo ai verbi alla forma imperativa nel dialetto siciliano si nota per prima cosa la desinenza in -u a causa dell'articolo che influenza, sotto forma di enclitica, il verbo al quale si accorda, ovviamente alla seconda persona singolare. Al momento della composizione l'enclitica ha una tonicità tale che, al momento della pronuncia, si unisce alla a postonica della parola alla quale si accorda, formando così una sillaba sola. Per quanto riguarda il plurale la desinenza è in -i, mentre per il femminile la desinenza rimane -a.
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